sabato 1 agosto 2009

La leggenda del Vescovo Taciturno (seguito)

Ebbimo la straordinaria ventura di riportare a conoscenza e a verità un lontano, dimenticato episodio della vita inimitabile del Vescovo Taciturno. Al triste tempo dell'occupazione straniera un reparto dell'esercito tedesco aveva catturato taluni civili e li deteneva quali ostaggi. I parenti, temendo per la loro vita, si rivolsero al nostro Agilulfo, allora giovane sacerdote, gli domandarono di recarsi subito presso le truppe di occupazione e di intercedere per i loro cari; gli chiesero anche quale premio avrebbe desiderato in caso di successo della sua missione.
Agilulfo rispose che per loro avrebbe immantinente lasciato la canonica e si sarebbe recato dove gli chiedevano; si astenne sdegnosamente da ogni replica all'offerta di ricompensa.
Lo fece con tre lapidarie parole, o forse con una sola parola. Le cronache del tempo riportano che egli disse: “V 'esco, vado.”

Hemingway

Una citazione e una rivisitazione: “Non chiederti per chi suona la campana, chiedile perché si chiama Samantha”

Letteratura

Il racconto lungo che ho appena terminato di scrivere è la storia di una ragazza la quale negli ultimi giorni di vacanza in un centro balneare ha un appuntamento con un giovine, che ella ama , per una gita in barca a vela. Ma una tempesta rende impossibili e l'escursione e l'incontro. E' una narrazione tesa tutta sulla corda della trepidazione e della successiva delusione della protagonista.
Non ho pubblicato l'opera perché sono incerto sul titolo. Non ho ancora deciso se intitolarla “La mareggiata” oppure “L'amareggiata”.

La storia nazionale

Non passa mese senza che si pubblichi un nuovo saggio - da “Italiani brava gente?” di Angelo del Boca a “L'invenzione dell'Italia Unita” di Roberto Martucci - sulle follie, le malefatte, i crimini commessi ad opera del Regno di Sardegna prima e dello Stato italiano poi, dalla seconda guerra di indipendenza in avanti.
Quel conflitto è visto come una illegittima brutale aggressione contro antichi, pacifici Stati, la lotta al brigantaggio una ingiustificata feroce repressione di moti contadini, le imprese coloniali una imperialistica invasione, fuori tempo, di paesi abitati da innocue popolazioni. Vengono demolite tutte le grandi figure della nostra storia patria. Sfugge a quel trattamento solo Carlo Alberto il quale, paradigma della vocazione nazionale alla sconfitta e al disastro, con la rovinosa condotta della prima guerra di indipendenza ha provveduto a squalificarsi da solo.
Cavour è giudicato, in politica estera, infido e ingannatore, Vittorio Emanuele II rozzo e di scarsa intelligenza. Né più positivo giudizio si dà di Garibaldi e di Mazzini. Eguale sorte tocca agli altri protagonista del nostro Risorgimento, Ricasoli, Farini, Nicotera, il Generale Cialdini. L'unica icona nazionale che appare non essere stata oggetto di questa opera di sistematica demolizione è Totò.

Sempre a proposito dell'unità d'Italia

Studiosi contemporanei contestano che l'Italia unita abbia costituito, nel complesso, uno sviluppo positivo rispetto alla situazione precedente.
Ritengo invece che il nostro paese, dal Risorgimento ai nostri giorni abbia conosciuto un netto progresso. Re Carlo Alberto, nel 1849, all'atto dell'abdicazione, dichiarò che Casa Savoia conosceva la via dell'esilio ma non quella del disonore. Re Vittorio Emanuele III, suo pronipote, avrebbe potuto a giusto titolo dichiarare che Casa Savoia conosceva la via dell'esilio, e anche quella del disonore.