venerdì 26 giugno 2009

Una storia con una conclusione.

Una storia con una conclusione.
Una storia di umana mediocrità ma con la conferma, nel finale, di una verità comunemente conosciuta.
A Desenzano del Garda (Brescia) due anziani agricoltori, proprietari di due fondi contigui, erano accuditi da due badanti extracomunitarie, entrambe monocole.
Ciascuno dei due pensava che la badante dell'altro fosse più fresca, più giovane della sua.
Come dire che l'orba del vicino è sempre più verde.

La leggenda del Vescovo taciturno (seguito)

La leggenda del Vescovo taciturno (seguito)
C'è dato, per somma fortuna, risalire a ritroso nella vita del leggendario Vescovo taciturno. Prima di divenire sacerdote, egli era stato ufficiale del Regio Esercito. Alla testa di un battaglione di bersaglieri aveva partecipato ad una campagna di guerra. Nel corso di una perlustrazione aveva visto delle fiaccole agitarsi nei pressi di un villaggio. Senza indugio aveva ordinato l'attacco contro quelli che aveva individuato come nemici con le parole: “Lumi lì, azione!”
Disgraziatamente l'operazione si risolse in un insuccesso con serie perdite. Il nostro integerrimo eroe lealmente si addossò tutta la responsabilità dello scacco con le stesse parole con cui aveva ordinato l'azione: “L'umiliazione”.

La leggenda del Vescovo taciturno (seguito)

La leggenda del Vescovo taciturno (seguito)
Colloquio fra un venditore di almanacchi e il Vescovo taciturno; colloquio nel quale quest'ultimo non riuscì purtroppo a far prevalere il suo stile sulla controparte.
Agilulfo aveva da recarsi a Roma alla Via degli Equi, nel quartiere di San Lorenzo. Giunto in quel rione, imbattutosi in un venditore di almanacchi, gli chiese: ”Equi è qui?”
Il venditore di almanacchi per comunicargli che si ingannava, ma che la strada di cui domandava poteva essere raggiunta nello stesso lasso di tempo prendendo sia a destra che a sinistra, gli disse: “equi-voco, equi-d'istanza equidistanza”.

La leggenda del Vescovo taciturno (seguito)

La leggenda del Vescovo taciturno (seguito)
Punto dal senso di colpa per avere trascurato per lungo tempo il Vescovo taciturno, vi narro ora la vicenda della sorella di sua madre, di professione ricamatrice, la quale, entrata tardi in politica progettava di impadronirsi del potere con un colpo di stato. Il nostro eroe, allora giovane sacerdote, ma che già godeva di grande prestigio e di grande fama per sapienza di intelletto e per santità di vita, si pronunciò senza esitazione, con tre parole, o forse con una sola contro tale intento: “Nego zia Re”.

La dialettica fra la natura e l'arte

La dialettica fra la natura e l'arte
Si ritiene da alcuni che se l'arte imita la natura, talvolta la natura imiti l'arte.
Io non lo credo. Infatti, se così fosse, nelle fertili terre intorno a Detroit i frutteti dovrebbero dare pere a forma di automobili.

Ricordi di scuola (alla maniera del libro “Cuore”)

Ricordi di scuola (alla maniera del libro “Cuore”)
Quanto sopra mi ricorda di un'altra Agata, Agata Gerli, mia compagna di scuola negli anni del liceo.
Era una ragazza graziosa ma di cattivo carattere: sempre pronta alle contestazioni, aspra, aggressiva. Tanto che in classe la chiamavamo: “l'acre Tina”.

dalla mia agenda

Stralcio dalla mia agenda:
“28 giugno dom. - S. Ireneo
Telefonare a Bianchi”
Debbo telefonare a Domenico Bianchi per dissuaderlo dal contrarre matrimonio con Agata Russi. Infatti se lo facesse, dato che entrambi sono conosciuti da parenti ed amici per i loro diminutivi, la partecipazione alle nozze suonerebbe: “Nico-Tina, oggi sposi”, ciò che mi pare più che un annuncio di sponsali uno slogan pubblicitario in pro del tabagismo.

A proposito della riforma della Costituzione

Di essa si parla molto di questi tempi.
Propongo di iniziare dall'inizio, dall'art. 1 che proclama: “L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Nobile enunciazione che dà l'idea di un Paese coeso, ordinato, proteso al progresso sociale ed economico, ma lontana dalla realtà.
Suggerisco di sostituire quella proclamazione con la dizione modesta ma conforme alla verità: “L'Italia è una Repubblica fondata su un popolo senza memoria e senza coscienza che non è divenuto nazione”.
Qualora poi si ritenesse un cotale cambiamento della norma dannosamente traumatico si potrebbe pensare ad un avvicinamento graduale al testo che ho proposto. In fondo, quando dopo l'unità d'Italia si decise di spostare la capitale da Torino non la si portò subito a Roma ma si passò per uno stadio intermedio a Firenze.
Ove si scelga questa impostazione per tappe suggerisco per il momento il seguente modesto cambiamento dell'art. 1 della Carta fondamentale: “L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro?”