Il tempo con il suo fatale andare è malvagio con tutti gli uomini, ma non con tutti nella stessa misura.
Invecchiando molti uomini diventano la caricatura di sé stessi, la caricatura dell'aspetto che avevano da adulti.
Taluni altri uomini invece è come se avessero impiegato tutta la loro esistenza per essere quello che sono divenuti da vecchi: vecchi belli, con i bianchi capelli in ordine, autorevoli, influenti.
E alla vecchiaia per tradizione si sono attribuiti significato, qualità, essenza opposti. Da un lato è stata considerata (meno forse nella nostra epoca) incarnazione della saggezza. Nell'antica Roma il Senato, l'areopago dei vecchi, era il supremo sapiente custode del bene comune nell'agire politico.
D'altro lato ha rappresentato la follia, o almeno l'irragionevolezza, la dismisura. Vecchio era Arpagone.
Il tempo si ammanta di ambiguità, anfibolico equivoco maestro che lungo una danza ora lenta come un tango, ora vivace e sfrenata come una sarabanda ci conduce verso il nulla.
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